10 modi per combattere lo stress

Il modo di vivere di oggi, caratterizzato da ritmi eccessivamente elevati e carichi non indifferenti di responsabilità ed aspettative, tende a logorarci a livello psicofisico e a favorire l’insorgere di disturbi da stress. Possiamo allora chiederci, come fare per combattere lo stress? In seguito vi propongo alcuni modi per allentare lo stato di tensione psicologica e favorire il benessere mente corpo.

  1. Sport e movimento

L’attività fisica svolta in maniera regolare e non eccessiva risulta essere una buona via per allentare lo stress. Le attività motorie più consigliate sono quelle aerobiche come il nuoto, la corsa, il ciclismo, il canottaggio, lo sci, ma anche il ballo e la camminata veloce.

  1. Rilassamento muscolare

Lo stress comporta un’ alterazione di una serie di funzioni del nostro organismo, tra le quali la tensione muscolare. Propongo dunque un esercizio molto semplice e veramente poco impegnativo per rilassare i muscoli del collo, della schiena e delle spalle, punti dove solitamente si concentra di più lo stress. Per eseguire l’esercizio è sufficiente da posizione seduta con le piante dei piedi ben appoggiate, allungare le braccia fino a terra e respirare con la bocca lasciando la testa abbandonata. Basta svolgere questo esercizio ogni giorno per 1-2 minuti per apprezzarne i risultati.

 

  1. Respirazione e consapevolezza

Concedersi 5 minuti al giorno per concentrare l’attenzione sul respiro è un ottimo modo per allentare lo stress. Ad esempio possiamo metterci comodamente seduti, chiudere gli occhi, lasciare spalle e bocca morbide e, respirando, osservare semplicemente l’onda del respiro che si muove all’interno del corpo. Se durante l’esercizio l’attenzione si dovesse spostare su altro, prendiamone semplicemente atto e riportiamola sulla respirazione.

 

  1. Investire bene l’energia

Tra le cose più inutili e logoranti che possiamo fare vi è senza dubbio il perdere tempo ed energie nel preoccuparci di cose che sono fuori dal nostro controllo o, ancora, il cercare di fare più cose contemporaneamente. È buona e sana abitudine, invece, investire in ciò che è effettivamente controllabile e modificabile e, soprattutto, fare una cosa per volta! In questo modo guadagneremo tempo e salute.

 

  1. Ammorbidire le convinzioni

Ci riconosciamo in coloro che pensano di dover fare tutto alla perfezione e di non dover mai sbagliare?

Proviamo allora a falsificare volontariamente questa nostra convinzione chiedendoci: ma è proprio necessario che mi imponga di dover sempre puntare alla perfezione? Cosa potrebbe mai accadere di così catastrofico se non lo facessi?

 

  1. Imparare a dire di no

Per non accumulare stress è fondamentale saper rispondere con un “No!” a quelle richieste che faremmo fatica a soddisfare per mancanza di tempo o di energie. Impariamo a scrollarci di dosso i pesi in eccesso e a delegare ad altri alcune responsabilità che non necessariamente abbiamo il dovere di prenderci sempre noi. Prendiamoci invece cura della nostra persona, rispettando i nostri limiti e ricordandoci che ogni individuo ha bisogno di momenti di tranquillità e di calma.

 

  1. Alimentazione corretta

Una corretta alimentazione ci aiuta nel mantenimento di uno stato di salute e di benessere psicofisico, rendendoci più forti quando abbiamo bisogno di fronteggiare situazioni stressanti.

 

  1. Correggere la postura

Essere consapevoli della postura che assumiamo e imparare a correggerla può sembrare una cosa banale e poco utile in relazione allo stress, invece non è così. Recenti ricerche hanno infatti dimostrato ancor più chiaramente che la postura incide direttamente, e in maniera determinante, sulla qualità dell’umore e sulla condizione di stress.

 

  1. Sì alla regolarità

Consideriamo il fatto che ogni cambiamento è stress. Cerchiamo dunque di condurre una vita abbastanza regolare se vogliamo combattere lo stress.

 

  1. Rivolgersi ad uno psicologo esperto in tecniche antistress

Se accusate buona parte dei sintomi legati allo stress e non riuscite più a concedervi momenti di calma e di rilassamento allora è il caso che vi rivolgiate ad un esperto che vi aiuti a ritrovare una condizione di equilibrio e di benessere. È importante ricordare infatti che lo stress è alla base dell’insorgenza di una serie di disturbi sia psichici che fisici anche gravi e quindi non va assolutamente preso sottogamba.

 

Se vi interessa l’argomento “stress” potreste trovare utile la lettura di quest’ altro articolo:

Come curare lo stress cronico

Il potere del corpo e l’intelligenza corporea

Chi non ha ricevuto il classico rimprovero della mamma a tavola: “tieni dritta quella schiena!”; una scocciatura quando sei bambino, ma un importante segnale interpersonale quando cresci; specie se vuoi far carriera in un’azienda o ti presenti ad un colloquio di lavoro.

Una recente ricerca infatti dimostra che mantenere unapostura eretta può aiutare a dare una buona immagine di noi e soprattutto a primeggiare in mbito professionale.

Tutti sanno che la nota posizione eretta da l’idea di una persona forte e sicura di sé, ma non solo: come suggerisce una recente indagine, esibire una postura di questo tipo infonde un carica che rende, specie nel mondo del lavoro, più competitivi, intraprendenti e carrieristi; ben di più di quanto facciano titoli di studio, competenze ed efficienza.

Ne hanno dato prova Li Huang e Adam Galinsky, psicologi alla Northwestern University in Illinois, America.
I due studiosi hanno voluto verificare se, e in che misura, l’assunzione di questa postura influenzi la stima di sé a confronto con altre e più convenzionali forme per “gasarsi”.

Per accertarlo hanno coinvolto 77 studenti: il primo passo è stato fargli compilare un questionario per valutare la loro attitudine al “comando”.
A metà dei partecipanti é stato riferito che, in base al test, erano stati classificati come manager per il proseguio dell’esperimento; all’altra metà, invece, era stato detto che erano rientrati nei gregari.

Mentre i volontari erano in attesa di questi esiti, è stato chiesto loro di compilare un test sul marketing per stabilire con maggiore precisione la classe di appartenenza.
Durante questa seconda “prova” i volontari venivano invitare a sedere su una sedia “ergonomica”: il tempo dedicato a questo ulteriore test variava tra i tre e i cinque minuti.

La “sedia ergonomica” in effetti era un pretesto per far loro assumere una posizione scomoda oppure rilassata: alcuni di loro, infatti, erano stati fatti accomodare su una una poltroncina piuttosto stetta, che li costringeva a stare raccolti: le mani sotto le cosce, le estremità inferiori con le caviglie pressate l’una all’altra e le spalle ingobbite.
L’altra metà dei volontari, per contro, era adagiata su una poltrona che consentiva loro di tenere le gambe larghe, i piedi scostati e le mani comodamente appoggiate su dei braccioli rivolti all’esterno.

Alla fine dei due test, i partecipanti erano stati inseriti definitivamente ad una categoria o all’altra: in realtà. il risultato dei questionari non era stato minimamente tenuto in considerazione e gli studenti erano stati assegnati a caso ad un gruppo o all’altro.

A questo punto dell’indagine, i ricercatori misuravano implicitamente il senso di potere: si trattava di completare delle parole in cui erano state omesse lettere o sillabe (come ad esempio, “com…….ne”, che poteva far pensare acomposizione competizione).
– deviazione, con i primi termini che venivano loro in mente; sette di queste espressioni avevano a che fare con il concetto i potere; per ognuno di questi frammenti di parole che veniva completato in modo da avere un significato legato al potere (potere, diretto, condurre, autorità, controllo, comando ricco) i partecipanti ricevano un punto.

Alla resa dei conti, Huang e Galinsky hanno accertato che ciò che faceva la differenza nella scelta delle “parole di potere” era la posizione dovuta alla sedia (disagevole o comoda e aperta): chi era rimasto seduto in modo confortevole mostrava un’inclinazione alla leadership di circa 3 punti e mezzo, contro un punteggio medio di 2,78 di coloro che erano stati “stritolati”.

in conclusione, lo strepitoso esito di questo esperimento dimostra che il linguaggio del corpo (nel caso specifico, una postura) può influenzare atteggiamenti, motivazione e carica emotiva.

Al di là del risultato dello studio, questa scoperta apre un nuova prospettiva nell’impiego della comunicazione non verbale: non serve solo a capire quello che uno prova o pensa, ma addirittura può essere usata per potenziare o, perfino cambiare, attitudini, modi di pensare o di agire; possiamo ora affermare che le funzioni emotive e intellettuali non risiedono solo nella mente o nel cervello e dimostrare l’esistenza di un vera e propria Intelligenza Corporea®!

Ipnotizzare con il corpo

Una nuova tecnica che fa uso di segnali non verbali si é mostrata più efficace, rapida e potente delle altri procedimenti induttivi … con grandi vantaggi sul piano dell’appicazione pratica

Capita che mentre parliamo con qualcuno, possiamo accorgerci che non ci sta affatto seguendo; il suo sguardo è vuoto, perso, lontano; il suo volto inespressivo, privo di tono; le sue mani o gli avambracci possono trovarsi a mezz’aria come fosse in procinto di dire qualcosa, ma rimangono immobili dando l’impressione di essere sospesi ad un filo. Immediatamente lo richiamiamo. Pensiamo: ha la testa fra le nuvole, è distratto; è pensieroso.
Ma ciò che accade veramente in quei momenti è altro: si chiama ipnosi!
E’ proprio constatando che i fenomeni ipnotici si presentano nelle comuni interazioni umane che gli studiosi di questa disciplina hanno appeso al chiodo pendolini, “guardami, guardami, guardami” e metronomi per investigare e trovare il modo di riprodurre quanto avviene già naturalmente.
Fatti non parole! L’indagine condotta con una sistematica e accurata osservazione e valutazione di queste occorrenze ha messo in luce che a suscitare questa condizione sono solo in alcune occasioni delle parole; il più delle volte, si tratta di segnali non verbali: suoni, toni di voce, certe scene, contatti fisici.
Gli stimoli hanno la caratteristica di essere inattesi, evocativi, emotivamente coinvolgenti.
Il corpo rivela La presenza di ipnosi è segnalata da cambiamenti nelle fisiologia osservabile dell’individuo; spesso le reazioni sono spesso sottili: dilatazione delle pupille, fissità dello sguardo, schiudersi della bocca, lieve dondolio del corpo, riduzione del tono muscolare ed altri ancora.
Minuti contati: La durata delle trance varia in genere da qualche secondo a parecchi minuti e si produce centinaia di volte al giorno.
L’ipnosi è un’esperienza quotidiana Queste scoperte hanno dimostrato che chiunque è stato ipnotizzato innumerevoli volte nella sua vita e che ognuno di noi, una volta, identificate le sue personali, uniche e irripetibili chiavi d’accesso all’ipnosi, è ipnotizzabile.
Ma il limite è stato subito evidente: la profondità di queste trance spontanee e la loro durata si sono rivelate troppo ristrette per un appli- cazione terapeutica.
Come potenziare l’effetto degli stimoli ipnotici Dopo il primo scorcerto, gli scienziati hanno ideato due possibili soluzioni:
i abbassare la soglia della sensibilità del soggetto agli stimoli (e aumentare quindi la sua recettività)
i aumentare la “forza” d’impatto delle sollecitazioni.
Gli “artifici” per il potenziamento dell’ipnosi: Una selezione delle tecniche più efficaci nella modificazione del comportamento, ha portato alla selezione di due modelli:
il’Ipnosi Dinamica, il primo procedimento ipnotico basato sul linguaggio del corpo, elaborato Stefano Benemeglio
iIl procedimento del ricalco-guida, ideato dalla Programmazione Neuro-Linguistica.
Due parole di spiegazione: L’Ipnosi Dinamica attraverso la gestione di toccamenti, rumori, variazioni della distanza interpersonale e con artifici per disorientare, “mettere sottosopra” e confondere la percezione, si innalza il tono emotivo del soggetto ipnotico, rendendolo estremamente permeabile alle suggestioni e ad ogni più piccola variazione del comportamento dell’operatore.
Un’altra tecnica per rendere più efficace e pilotare le reazioni degli individui con cui si interagisce é il Ricalco-Guida; consiste innanzitutto nel rispecchiare posture, gesti, timbro e quant’altro del modo di porsi dell’altro.
Il ricalco può essere fedele (ad esempio, si può assumere la stessa posizione dell’interlocutore), parziale (ci si può toccare il mento, quando chi ci sta di fronte lo liscia tra le dita) o incrociato (si può dare un colpetto al tavolo ogni volta che l’altro mostra un aumento dell’attenzione). Dopo un certo numero di ripetizioni, nella mente del soggetto si stabilisce un’associazione stabile tra il nostro e il suo comportamento, per cui una nostra variante sarà seguita da una sua analoga replica – guida -.
I passi dell’induzione ipnotica:Il metodo descritto deve molto alle impostazioni originali dell’Ipnosi Dinamica cui, oltre all’integrazione del modello ricalco-guida, sono state apportate delle rettifiche che ne hanno reso più snella e rapida l’applicazione.
L’individuo viene messo in piedi in mezzo ad una stanza; gli viene chiesto di tenere una postura eretta, ma non tesa; di non fare movimenti volontari e involontari, di non parlare, di non aprire gli occhi una volta che si siano chiusi: tutto questo ha tre obiettivi:
– “scoraggiare” l’individuo dal fare azioni che allentino la
tensione emotiva
;
ridurre la percezione dell’ambiente esterno;
agevolare lo spazio di manovra dell’operatore.
La stimolazione dei sensi l’operatore fa la richiesta di osservare i gesti che eseguirà all’altezza degli occhi (aprire e chiudere le dita, fare movimenti circolari, far scorrere la mano avanti e indietro; ecc.).
Non appena viene scorto il più piccolo cenno di alterazione della coscienza in coincidenza con uno specifico segnale; si procede ad un “aggiustamento del tiro” (il movimento è fatto più veloce o più lento; più vicino o lontano, da destra oppure da sinistra, ecc.) per individuare la forma che meglio si attaglia al soggetto.
Individuato il “grimaldello” giusto, lo si ripete, attenti a adattarlo ad ogni minimo cambiamento nella risposta.
Ripetizione e adeguamento portano ad una intensificazione della reazione, riflesso di una più pronunciata modificazione dello stato di coscienza.
Se la stimolazione visiva si mostra poco efficace, si può passare a quella sonora (si producono vocalizzi o rumori) o quella tattile (si può toccare l’individuo sulla fronte, appoggiarsi ad esso, poggiargli una mano sulla spalla o sul petto). Il protocollo che segue è lo stesso che per la modalità visiva (si cerca il “profilo” adatto per tono, volume, ritmo e velocità dei suoni o il punto e il modo “corretto” del contatto). Accentuare la recettività.
In quel momento, si può elevare la responsività dell’ipnotizzato:
– gli si gira attorno, parlando (in genere dicendo frasi vuote o facendo banali descrizioni di ciò che si sta facendo) per far si che il soggetto individui un riferimento preciso; poi, si cambia direzione all’improvviso.
– ci si mette di fronte al soggetto e, nel parlare, si dirige la voce verso l’orecchio destro o quello sinistro oppure in alto o verso il basso;
– si parla a voce bassa e con tono calmo e soffice; quindi, si da un forte battito di mani. · si sposta la testa del soggetto verso dietro (la sua percezione dell’equilibrio viene fisiologicamente alterata)
– si fanno suoni acuti, aspirati; si fanno cadere oggetti alle sue spalle; si scuote un portapenne con moto ascendente e discendente o da destra a sinistra; ecc.
A quel punto, la reazione tipica è la caduta; cioè, la perdita dell’equilibrio.
Si pone quindi l’individuo su una poltrona o su un divano e si formulano delle suggestioni, questa volta verbali. Anche quelle sono calibrate in base alle alterazioni emotive e di coscienza che suscitano (gli studi più recenti si stanno muovendo nel senso di scoprire come ottenere, con lo stesso metodo, le suggestioni articolate con la parola).
Potremmo dire che procedere con il consueti metodi di induzione ipnotica è come provare a guidare una macchina senza aver fatto prima il pieno; se c’è benzina, l’auto (individuo altamente ipnotizzabile) va avanti lo stesso; se è “a secco” (persona refrattaria), il veicolo non va in moto. Chi applica l’ipnosi non verbale, prima di “mettersi la voltante” – dare le suggestioni – riempie sempre il serbatoio!

I MITI DA SFATARE

iAndare in ipnosi vuol dire dormire o perdere la coscienza:
FALSO: il più delle volte, comporta una condizione che potremmo paragonare al dormiveglia. Questo stato può comportare talvolta una specie di torpore che rende percezione e ricordo annabbiati; ma più comunmente, la trance é una “rilassata” vigilanza.iSe non si viene “risvegliati”, si può non uscire più dallo stato ipnotico: FALSO: in realtà, per quanto la trance sia un esperienza piacevole, se non si ricevono sollecitazioni, dopo un po’ ci si riprende da séiNel corso di una seduta ipnotica, l’individuo diventa un automa nelle mani dell’ipnotista:
FALSO: la persona mantiene sempre un certo grado di autocontrollo e interagisce comunque, anche se a livello passivo e involontario, con l’operatore.iL’ipnotizzatore può far fare quello che vuole all’ipnotizzato: FALSO:durante la trance, si produce una maggiore disinibizione, ma se l’individuo moralmente o per volontà non vuole veramente fare qualcosa non lo fa.iPer ipnotizzare bisogna essere dotati di poteri particolari:
FALSO: l’ipnosi è semplicemente una tecnica; tutti possono apprenderla. Naturalmente, come per ogni attività umana, c’è chi è più portato e chi meno.iL’ipnosi è uno scontro di volontà:
FALSO: chi viene ipnotizzato ha una personalità debole: anche questa è una credenza priva di fondatezza; anzi, chi è maggiormente “suggestionabile” spesso tende a mostrare una maggiore rigidità e un più alto grado di allerta.iL’ipnosi fa dire o fare cose che non si vorrebbero:
VERO/FALSO: stato di ipnosi è una condizione di inerzia psichica e motoria per cui la persona non ha “voglia” di produrre delle azioni spontanee o di pronunciare delle parole
Di solito la persona non parla in ipnosi, se non dopo un lungo e laborioso allenamento: nello stato trance, si attiva una parte del cervello in cui il linguaggio è rudimentale; per altro, corde vocali e gli altri organi fonatori sono rilassati e per l’individuo pronunciare delle parole comporta un grosso sforzo e un impegno arduo.iCon l’ipnosi possono emergere impulsi, pensieri e ricordi che possono far star male:
VERO/FALSO: si tratta di un evento piuttosto raro; più di frequente, l’individuo può avere crisi di pianto, tremori o provare forti emozioni all’inizio dell’induzione, quando il rilassamento favorisce lo scarico di tensioni fino a quel momento trattenute; ma lo stesso può fare una scena di un film o un racconto particolarmente commovente.

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC)

Che cos’è il disturbo ossessivo compulsivo (DOC)

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è uno dei disturbi d’ansia più frequenti ed è generalmente caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni, anche se, in alcuni casi, si possono presentare ossessioni senza compulsioni e viceversa.
Le ossessioni sono pensieri, immagini mentali o impulsi che si manifestano ripetutamente nella mente di una persona e che sono percepiti come sgradevoli ed intrusivi. Questi fenomeni mentali involontari infastidiscono molto le persone che ne soffrono, sia perché sfuggono al loro controllo sia perché provocano delle emozioni negative (es. paura, disgusto, senso di colpa, ecc.), a tal punto che in molti casi si sentono costrette a mettere in atto una serie di comportamenti ripetitivi o di azioni mentali per ridurre lo stato di disagio che li attanaglia (compulsioni). Le ossessioni sono spesso di natura bizzarra e, chi ne soffre è solitamente consapevole della loro infondatezza o esagerazione; tuttavia, in alcuni casi, si può essere così ansiosi da non rendersi neanche conto che si tratta di pensieri che generano preoccupazioni irrazionali o quantomeno eccessive. Il contenuto di questi pensieri, immagini o impulsi può variare; ad esempio, ci sono persone che si preoccupano in modo eccessivo dello sporco e dei germi, altre che sono spaventate dall’idea di perdere il controllo dei propri impulsi aggressivi e fare del male a qualcuno.
Le compulsioni, dette anche rituali o cerimoniali, sono invece dei comportamenti ripetitivi (es. lavarsi le mani, controllare se lo sportello della macchina è stato chiuso, riordinare) o delle azioni mentali (es. contare, pregare, ripetere formule superstiziose), messi in atto per ridurre il senso di disagio e l’ansia provocati dai pensieri ossessivi. A volte il disagio provato è descritto semplicemente come una sgradevole “sensazione che c’è qualcosa che non va” (o “not just right experience”). La compulsione, dunque, riduce l’ansia, produce sollievo e dà un senso di relativa sicurezza, anche se dura poco tempo.
Il disturbo ossessivo-compulsivo colpisce senza distinzioni di età e sesso dal 2% al 3% della popolazione, vale a dire che ogni cento persone che nascono oggi, due o tre svilupperanno nell’arco della propria vita un DOC. Si può supporre che in Italia, in questo momento, soffrano di questa patologia circa 800.000 persone.
Può manifestarsi nell’infanzia, nell’adolescenza o nell’età adulta, in modo acuto, cioè con sintomi evidenti ed improvvisi, o più frequentemente in modo subdolo e graduale.
Come si manifesta il disturbo ossessivo compulsivo

Le ossessioni e compulsioni possono essere di natura molto varia. Si è tentato pertanto di costruire delle sotto-categorie del disturbo ossessivo-compulsivo.
Disturbo ossessivo-compulsivo da contaminazione

Chi ne soffre è tormentato dalla insistente preoccupazione di potersi sporcare o contaminare entrando in contatto con sostanze di vario tipo, quali: escrementi, secrezioni del corpo, sporcizia, sostanze chimiche, siringhe, carne cruda, saponi, solventi, detersivi, ecc.. La contaminazione può essere anche da sporco di natura sociale (es. il tossicodipendente, l’anziano o il barbone) o metafisica (es. il male, il diavolo, le negatività). In molti casi non c’è un vero e proprio timore di malattia, ma un forte disgusto all’idea di entrare in contatto con queste sostanze. La persona, quindi, si sente costretta ad evitare una serie infinita di luoghi: bagni e giardini pubblici, cassonetti dell’immondizia, supermercati, stazioni ferroviarie, ospedali, ecc., tutto ciò al fine di evitare di provare la sensazione di contaminazione. Quando, invece, entra in contatto, o semplicemente pensa di essere entrato in contatto, con una delle sostanze contaminanti mette in atto una serie di rituali di lavaggio, pulizia e sterilizzazione ripetuti e particolareggiati (compulsioni) al fine di attutire la sensazione di contaminazione ed il disagio ad essa connesso. Tali rituali possono durare pochi minuti o arrivare ad occupare molte ore all’interno della giornata.
Disturbo ossessivo-compulsivo da controllo

Si tratta di ossessioni e compulsioni che implicano controlli prolungati allo scopo di prevenire gravi incidenti o catastrofi o di assicurarsi che non siano avvenute. Le persone con questa tipologia di disturbo ossessivo-compulsivo tendono a mettere in atto rituali di controllo per tranquillizzarsi rispetto al dubbio di aver fatto o non aver fatto qualcosa che può aver danneggiato se stesso, i propri oggetti o qualcun’altro o che potrebbe farlo. In questo caso, quindi, il timore che le compulsioni cercano di neutralizzare è il senso di colpa, cioè questi soggetti hanno paura di sentirsi in colpa o per aver commesso qualcosa (colpa da responsabilità) o per non aver fatto il possibile per evitare che accadessero eventi negativi (colpa da omissione). Queste persone attuano così ripetuti controlli per essere sicuri di aver chiuso bene il rubinetto del gas, le porte, le finestre, i fornelli elettrici, l’interruttore della luce, la cassetta della posta, i fari della macchina, di non aver investito involontariamente qualcuno, di non avere tracce di sangue addosso, ecc.. Questo tipo di rituali coinvolge spesso i familiari che sono oggetto di ripetute richieste di rassicurazione o ai quali viene chiesto di fare i controlli al posto della persona stessa.
Disturbo ossessivo-compulsivo di tipo superstizioso

Chi ne soffre pensa che il fatto di compiere o meno determinati gesti, pronunciare certi numeri, compiere certe azioni un certo numero di volte, vedere certi colori o certe cose (es. carri funebri, cimiteri, manifesti mortuari), determini l’esito degli eventi. Questo è il caso di chi, quando sente determinati suoni considerati negativi (es. la sirena dell’autoambulanza) o certe parole pronunciate o scritte (morte, diavolo, satana, ecc.), mentre compie una determinata azione, deve ripeterla un certo numero di volte affinché questo rituale neutralizzi le negatività associate a quel suono o quella parola. Chi presenta questo tipo di ossessioni, dunque, vive degli intensi stati di paura o terrore nei confronti di ciò che potrebbe accadere ed è spesso allarmato dall’idea che possano succedere degli eventi negativi a se stesso o alla propria famiglia.
Disturbo ossessivo-compulsivo da ordine e simmetria

Ci sono delle persone che non tollerano assolutamente che gli oggetti siano posti in modo disordinato o asimmetrico, perché ciò crea in loro la sgradevole sensazione “che c’è qualcosa che non va”. In seguito a questo tipo di ossessioni si possono passare delle ore a fare compulsioni di ordine e simmetria, cioè a riordinare ed allineare secondo una sequenza logica (es. secondo la grandezza o il colore) penne, libri, fogli, pentole, cd, abiti, ecc.. Tali pensieri ossessivi possono riguardare anche la propria persona, come, ad esempio la posizione dell’orologio, il modo in cui sono sistemate maglie e pettinatura dei capelli; ne conseguono rituali di controllo e di messa in ordine allo specchio che possono durare anche ore.
Disturbo ossessivo-compulsivo da accumulo/accaparramento

E’ un tipo di ossessione caratterizzata dall’impulso ad accumulare oggetti insignificanti ed inservibili (riviste, giornali vecchi, bottiglie vuote, confezioni di alimenti, pacchetti di sigarette, ecc.), che provoca delle compulsioni di accumulo e raccolta di questi oggetti; ci sono persone che arrivano persino a raccogliere lattine vuote e pacchetti di sigaretta per strada, o dai bidoni della spazzatura, pensando che un giorno possano servire a qualcosa. A volte, lo spazio occupato da tali “collezioni” diventa tale da sacrificare la vita delle persone e dei suoi familiari. Coloro che presentano questo tipo di DOC si sentono spesso orgogliose delle loro bizzarre “collezioni” e sono spaventate all’idea di buttare via qualcosa.
Ossessioni pure

Ci sono delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo, infine, che presentano solo ossessioni senza compulsioni. Essi sono spaventati da pensieri o spesso immagini relative a scene in cui la persona attua comportamenti indesiderati, privi di senso, sconvenienti o pericolosi. Le ossessioni pure possono essere a contenuto aggressivo, religioso, sociale o sessuale. Tra queste troviamo: il timore di fare del male a se stesso o agli altri (es. ci sono persone che hanno paura di usare un coltello o la forchetta, di maneggiare oggetti appuntiti, di passare vicino alle finestre, di avvelenare il cibo di altre persone, di fare del male ai dei bambini piccoli o di ferire i sentimenti degli altri), la presenza di immagini violente o terrificanti (es. visioni di omicidio, corpi fatti a pezzi), il timore di pronunciare frasi oscene o insulti, bestemmiare, compiere atti sacrileghi o fare cose imbarazzanti e la paura di essere responsabile di eventi terribili come incendi o furti. Le persone che hanno ossessioni di tipo sessuale, invece, presentano il dubbio o il terrore di poter essere perversi, pedofili o omosessuali. Questi pazienti possono passare anche delle ore a rimuginare su questi pensieri, con estenuati messe alla prova e ripetute domande sulla propria natura sessuale.
Come capire se si soffre di disturbo ossessivo-compulsivo

Di solito usiamo il termine ossessione per indicare un pensiero che si presenta con una certa insistenza nella nostra mente; c’è però una differenza tra il significato colloquiale del termine e quello clinico. E’ assolutamente normale, infatti, in certe situazioni, avere per la testa dei pensieri che ci tormentano. E’ naturale essere preoccupati se un nostro parente è ammalato, se dobbiamo fare un esame o se dobbiamo pagare la rata del mutuo. Le ossessioni si differenziano, dunque, dalle normali preoccupazioni per il loro contenuto, queste ultime sono infatti delle paure fondate e legate a problemi reali della vita quotidiana.
La ricerca scientifica ha dimostrato, inoltre, che dei pensieri intrusivi indesiderati irrazionali, assurdi o sproporzionati rispetto alla realtà passano occasionalmente nella testa di ogni persona. Può capitare a tutti, infatti, di provare il timore di perdere il controllo della macchina o la paura di non aver chiuso bene la porta di casa, pur essendo consapevoli della esagerazione di queste preoccupazioni. Fino a qualche anno fa si pensava, invece, che le persone colpite da disturbo ossessivo-compulsivo fossero particolari e bizzarre e che le persone “normali” non avessero questo tipo di pensieri. Le differenze tra i normali pensieri intrusivi indesiderati e le ossessioni patologiche sono, dunque, soltanto di ordine quantitativo e ricorsivo, non di contenuto. Le ossessioni patologiche, infatti, presentano una maggior frequenza, creano reazioni emozionali più intense e maggiore disagio, sono più difficilmente gestibili e durano per tempi più lunghi. E’ necessario pertanto ipotizzare la presenza di un disturbo ossessivo-compulsivo solo quando i sintomi persistono, creano molta ansia e molto disagio o interferiscono pesantemente con la vita di tutti i giorni.
Tra le varie ossessioni possiamo trovare anche la paura di avere contratto una malattia, tale timore tuttavia caratterizza non solo il disturbo ossessivo-compulsivo, ma anche l’ ipocondria. E’ bene ricordare che nel DOC questo pensiero è legato all’idea di contaminazione e la modalità di contagio della malattia è spesso bizzarra. Inoltre chi soffre di ipocondria è convinto o teme già di avere una malattia, per questo attua comportamenti ripetitivi di richiesta di rassicurazione, quali visite mediche, analisi cliniche, ecc., mentre una persona con le ossessioni è più spesso preoccupato di poterla contrarre.
Il DOC, infine, potrebbe essere confuso con il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità. Sebbene abbiano il nome simile e qualche aspetto in comune, come ad esempio una certa rigidità morale ed un eccessivo senso di responsabilità, le due patologie sono marcatamente diverse. Questo ultimo, infatti, è caratterizzato da dei tratti caratteriali ben precisi e le persone che ne soffrono non presentano pensieri intrusivi ricorrenti, né compulsioni di alcun genere. In alcuni casi, tuttavia, possono essere presenti entrambi i disturbi; altre volte, invece, il DOC può essere associato ad altri disturbi di personalità.

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Articolo tratto da www.terzocentro.it

I 10 sintomi della depressione

Come si manifesta la depressione e quali Quando si può davvero parlare di disturbo depressivo? Ho ritenuto importante cercare di fare chiarezza dato che ancora oggi in diversi casi si tende a fare confusione su questo argomento.

Sentirsi un pò stanchi, a volte demotivati, tristi o frustrati è  una condizione normale. A tutti può succedere di avere delle giornate no. Ma l’umore basso, la fiacchezza o la noia non devono necessariamente portarci a pensare di soffrire di depressione. In alcuni casi, come ad esempio in periodi maggiormente stressanti,il nostro umore può subire delle variazioni maggiori e toccare dei picchi sensibilmente più bassi. Perché si possa parlare di vera depressione però è necessario fare un esame più completo del proprio stato d’animo, che miri a individuare la compresenza di almeno cinque di questi dieci sintomi:

– Mancanza o eccesso di energie, sensazione costante di fatica o al contrario di agitazione
– Aumento o diminuzione dell’appetito
e quindi del peso corporeo in modo significativo e del tutto indipendente dalla volontà della persona
– Disturbi del sonno
(ipersonnia, insonnia o frequenti risvegli durante la notte)
– Sensi di colpa
continui e immotivati
– Pensieri di morte o di suicidio
– Tristezza
persistente, ansia e sensazione di vuoto
– Disperazione
, visione totalmente pessimistica della vita
– Perdita d’interesse
o piacere in attività che prima davano soddisfazione, compreso il sesso
– Sensazione di essere “rallentati”
, difficoltà a concentrarsi, a ricordare, a prendere decisioni
– Dolori continui o altri sintomi fisici persistenti, non causati da una malattia fisica o da una lesione.

È importante fare attenzione anche alla ricorrenza e alla durata dei sintomi, che devono manifestarsi per la gran parte della giornata, quasi tutti i giorni, e per almeno due settimane.

PSICOLOGO CECINA (LI) -Psicosomatica, Bioenergetica, Ipnosi- tel. 347-1419026

Psicologo Cecina (Livorno) – Dott. Fabio Pratesi

Psicologo iscritto all’Albo degli Psicologi della Toscana n. 5101. Mi occupo principalmente di ansia, panico, fobie, depressione, disturbi psicosomatici da stress, disturbi del sonno, problemi di coppia.

Ricevo su appuntamento a Cecina (Livorno):

  • presso il mio studio privato sito in via Sin le Noble n.11
  • presso la Farmacia Centrale in via Pasubio n. 33 H

il mio modo di lavorare:

Il modello di diagnosi/intervento a cui faccio riferimento è quello Integrato . Tale modello si caratterizza per lo sguardo d’insieme che riserva alla persona. L’individuo non è considerato esclusivamente sul piano mentale, come avviene nella maggior parte degli approcci psicologici tradizionali, bensì nel complesso insieme di tutte le sue funzioni psico-corporee. Il benessere, così come il disagio, sono esperienze che viviamo nella mente e nel corpo contemporaneamente. Pensiamo, ad esempio, come una condizione d’ansia può essere vissuta in modo complesso e totalizzante: ci sono pensieri , idee, ricordi e convinzioni che sul piano mentale condizionano negativamente il modo di interpretare le situazioni e la realtà. Ci sono emozioni che arrivano con violenza, paralizzando o costringendo all’evitamento: pensiamo in primis alla paura. Ci sono allo stesso tempo, dei fastidiosi sintomi fisici: tachicardie, tensioni muscolari, tremori, disturbi digestivi, senso di fame d’aria, vertigini sono solo alcuni esempi.
Le tecniche utilizzate sono studiate per intervenire in modo integrato su tutti gli aspetti della condizione di disagio e di stress, sia sul versante psico/emotivo che su quello corporeo.

Le principali aree di intervento sono:

  • Disturbi d’ansia (ansia generalizzata e fobie specifiche)
  • Disturbo da attacchi di panico
  • Depressione e disturbi dell’umore
  • Disturbi da stress e psicosomatici (Asma e disturbi respiratori, aritmie e oppressioni toraciche, disturbi della pelle, dolori muscolari cronici, gastriti, coliti, stipsi, cefalee)
  • Insonnia e disturbi del sonno
  • Disturbi alimentari (bulimia e anoressia)
  • Disturbi sessuali
  • Problemi di coppia e della famiglia
  • Problematiche psicologiche e psicosomatiche del bambino
  • Problemi dei ragazzi in adolescenza

La memoria corporea

Le tracce delle nostre storie, delle gratificazioni che abbiamo avuto, delle oppressioni che abbiamo subito, dell’impossibilità a esprimere apertamente la rabbia o la tenerezza, del trattenere alcune emozioni o esagerarne altre, sono tutte contenute nel nostro corpo. è con tutto il nostro corpo che noi riusciamo a esprimere apertamente le nostre emozioni o che siamo costretti a trattenerle, che riusciamo a trasmetterle, o dobbiamo camuffarle. E dunque è in tutto il corpo che possiamo ritrovare qualcosa dei vissuti trascorsi, persino delle nostre esperienze infantili o prenatali.

Alcuni anni fa, si pensava che le parti del corpo fossero specializzate nell’esprimere una determinata emozione: si credeva ad esempio che il torace dovesse essere legato all’aggressività, la pancia alla tenerezza, il collo al controllo, la mascella alla rabbia, le gambe all’indipendenza, e così via. In realtà noi possiamo ritrovare un’emozione in qualsiasi parte del corpo. Possiamo ad esempio ritrovare la tenerezza oltre che nella pancia, anche sulla schiena o nelle gambe; così come la rabbia può essere nei muscoli del collo; e la paura può annidarsi anche nelle braccia e nel torace. Ma come avviene ciò?

Quando il bambino sin dai primi mesi di vita entra, ad esempio, in contatto con il seno della madre, non lo fa solo con la bocca ma tutto il suo corpo partecipa alla relazione: le mani si tendono e toccano il seno, gli occhi guardano negli occhi, le gambe si muovono strofinandosi l’un l’altra nella sensazione di piacere che il momento gli procura. Allo stesso modo, quando protesta arrabbiato perché non è stato preso in braccio, serra i pugni, stringe gli occhi, tende le gambe, spinge con le mani per allontanare la madre, gonfia il petto, indurisce la pancia.

Ora, se gli atteggiamenti emotivi che il bambino attraversa, e che esprime con tutto se stesso, ricevono una buona accoglienza dai genitori (e dagli adulti in genere), quegli stessi stati emotivi si potranno percepire facilmente nelle varie parti del corpo anche da adulti. Una tenerezza che è stata sempre incoraggiata e non soffocata la si potrà risentire con la pancia, con il viso, con le mani, e persino con la schiena.

Ma se le espressioni emotive sono state impedite, colpevolizzate, non bene accolte dall’ambiente, allora il bambino cercherà disperatamente di bloccarle e di non arrivare neanche a sentirle; oppure le dovrà esasperare per farle sopravvivere. In entrambi i casi si servirà del proprio corpo: dei muscoli, contraendoli oppure mollandoli cronicamente, di determinati atteggiamenti e di posture che il corpo finirà per assumere abitualmente.

Stringendo i pugni cercherà di controllare la rabbia; chiudendo la gola eviterà di gridare la sua dolorosa protesta; accasciando le spalle smetterà di dover lottare inutilmente; rendendo poco mobili e vuoti i suoi occhi cercherà di non farsi cogliere da sguardi di rimprovero. Oppure può gonfiare il torace per esasperare il senso di lotta; può assumere un volume di voce forte per far riuscire a sentire la propria assertività., e così via. Queste alterazioni non nascono dall’oggi al domani; non è il singolo rimprovero che può provocarle, ma un accumularsi di atteggiamenti negativi nei confronti del bambino e di quella determinata espressione emozionale in particolare. Alcune volte, più che una diretta inibizione, a generare la stratificazione di queste alterazioni è la situazione nel suo complesso: Una famiglia in cui si respira tensione e ansia, un ambiente che non aiuta il contatto, una tendenza a svalutare ciò che fanno i figli; una freddezza di fondo; una rabbia che si scatena nei genitori all’improvviso come una tempesta imprevedibile. I bambini reagiscono a queste condizioni negative esasperando alcune emozioni e bloccandone altre, con l’aiuto del corpo.

Se la respirazione si fa sottile, quasi impercettibile, il bambino sente di meno dolori e sensazioni sgradevoli; se i muscoli del braccio divengono cronicamente tesi l’impulso a picchiare viene inibito; se il collo si irrigidisce diminuirà ad esempio la sensazione di essere colpiti da dietro, e così via.

Le specifiche tecniche di massaggio, contatto e movimento, che vengono utilizzate in studio con i pazienti, hanno proprio lo scopo di andare a rintracciare queste antiche emozioni stratificate, bloccate o esasperate, e facilitare il ripristino e l’equilibrio delle funzioni che, nel tempo, hanno subito un alterazione.

Tracce e funzioni della memoria corporea

La memoria corporea, come abbiamo detto, è costituita dalle tracce che gli stati emozionali del passato hanno lasciato impresse. Queste tracce sono visibili in diverse funzioni, fra le quali: il tono di base della nostra muscolatura, che può essere rimasto cronicamente alterato in conseguenza ad esperienze emozionali negative del passato. In altri termini può accadere che un muscolo resti cronicamente teso come se fosse impiegato continuamente, senza pausa, in azioni o sforzi. Il muscolo si è alterato per esorcizzare la paura, per trattenere la rabbia, per nascondere la vergogna. Oppure il tono muscolare resta flaccido, un tono di “disarmo”e di resa, e questo rende la persona incapace di affrontare situazioni in cui sarebbero necessarie la forza, la determinazione, o un’azione rapida e scattante.

Un secondo tipo di memoria corporea è costituito dalle posture . Le posture possono perdere la loro flessibilità originaria e diventare ripetitive nel tempo. L’abitudine a determinate posture inconsapevoli, il ricadere sempre nei medesimi atteggiamenti del corpo, produce un effetto molto intenso, sia sull’interlocutore, che sul soggetto stesso. Ci sono persone che “sostengono sulle spalle” pesi eccessivi, altre che rimangono sempre con la testa abbassata in una evidente remissività, altre che tengono le braccia come incollate al corpo, mostrando una eccessiva difficoltà ad occupare lo spazio intorno a sé. Le posture abitudinarie rappresentano una forte limitazione nella duttilità delle relazioni e una fonte inconsapevole di malessere e disagio.

Un altro tipo di memoria corporea risiede in quei movimenti che ripetendosi più e più volte in circostanze analoghe a poco a poco diventano caratteristici di una persona. Anche questi movimenti trattengono al loro interno l’antica emozione che li aveva messi in moto. In questi movimenti è contenuta una reazione emotiva antica che persiste nel tempo, una modalità di reagire a rimproveri, a delusioni, a dolori, a paure, una modalità nata nella nostra infanzia o adolescenza. Se un movimento ci aiuta ad esorcizzare antiche sensazioni negative, finisce per diventare un’abitudine che rimane. Ci sono persone che compiono continuamente piccoli movimenti, piccoli scatti, per un’ansia strisciante che mina la loro tranquillità, altre che compiono frequentemente movimenti che richiamano energia dal basso verso l’alto. Si toccano spesso il volto, i capelli, gli occhi. Spesso sono individui eccessivamente cerebrali, razionali, che controllano molto i movimenti del corpo e l’espressione delle proprie emozioni. Questi stessi individui di solito soffrono di cefalee, infiammazioni alla gola, congiuntiviti, sinusiti. I movimenti caratteristici sono una fonte molto ricca di informazioni sullo stato reale e profondo delle persone.

Un’altra importante funzione della memoria corporea è il respiro . Il respiro rappresenta un importante “regolatore generale” dell’organismo, poiché agisce in modo diretto sugli equilibri dei sistemi interni, fra cui il neurovegetativo, il battito cardiaco e il circuito dell’ansia. Le sue alterazioni permanenti hanno perciò effetti notevoli sul benessere (o viceversa sul disagio) e sul livello profondo delle emozioni. Un respiro mozzato, bloccato in fase inspiratoria, è il tipico effetto di una paura che impedisce il libero movimento del diaframma; un respiro che va tutto verso l’alto ( nella parte alta del torace) mostra una spinta inconsapevole ad affrontare sempre il mondo di petto; una respirazione affannosa è fonte di una sensazione soffusa di ansia; un respiro sottile non porta sufficiente energia e sufficiente vigore. A volte si esagera ispirando troppo e troppo velocemente, “inghiottendo” l’aria, e troncando così gran parte della capacità di movimento verso l’esterno: si rimane in questo modo bloccati, senza energia. Altre volte si espira in modo lento ed estremamente controllato anestetizzando gran parte delle sensazioni, diminuendo la capacità di contatto, creando distacco eccessivo.

Gli effetti della memoria corporea

Il problema principale, che è di fondamentale importanza sottolineare, è che questa nostra memoria corporea ha effetto sia sull’esterno che sull’interno. Capita allora di trovarci imprigionati in relazioni che non ci soddisfano o ci fanno soffrire, capita che le altre persone vedano in noi aspetti e tratti che noi non riusciamo a riconoscere, capita di non riuscire a trasmettere efficacemente agli altri ciò che vorremmo invece comunicare; ma capita anche di sentirci costantemente a disagio, di sentirci pervasi da stati d’animo negativi che non capiamo da dove possano provenire, capita di non essere capaci di lasciarci andare e viverci le emozioni. La memoria corporea è in effetti una continua fonte che rinnova, a nostra insaputa, vecchie paure, vecchie rabbie, stati d’animo di sconfitta e di rassegnazione, ansie, dolori e dispiaceri, sensazioni di inadeguatezza, vecchie modalità di controllo. Ci sembra che le antiche vicende siano ormai superate, ma in realtà continuiamo a portarcene dentro gli effetti. La memoria corporea è il tramite che rende queste vicende ancora attive, ancora piene di significato e di carica emotiva, come se fossero presenti ancora oggi.

Per questo lo specialista che utilizza questo approccio lavora anche per sciogliere queste tracce nel corpo, liberare i vissuti incapsulati, ripristinare il funzionamento pieno e mobile, in modo che le antiche vicende diventino veramente “storia”, rimangano vive sì ma nei ricordi e non come fonte attuale di emozioni negative.

Come intervenire per curare lo stress cronico

L’intervento integrato per curare lo stress cronico

Lo stress è considerato attualmente uno dei problemi sociali più gravi, più diffusi
e preoccupanti. Gli studi scientifici, iniziati molti anni fa, hanno
finalmente permesso oggi di comprendere a fondo tutti i meccanismi con cui si genera
e le modalità efficaci con cui curarle lo stress cronico.
Il problema dello stress non è legato all’evento stressante, perché questi nella vita
ci saranno sempre e non si può pensare di riuscire ad eliminarli a priori. Inoltre lo
stress è, almeno in una prima fase, positivo. Un evento stressante produce infatti
inizialmente il cosiddetto stress acuto, detto anche eustress, che è benefico: la persona
riceve una forte sollecitazione psicofisica ed è messa in condizione di reagire ad
eventi esterni che devono essere tempestivamente affrontati e risolti. Quello che
invece è grave per la salute dell’essere umano è il trasformarsi dello stress da acuto in
stress cronico (detto altrimenti distress). Lo stress cronico non è dato da un eccessivo
carico di compiti o da una condizione di stanchezza eccessiva, ma dall’incapacità
dell’organismo di ritornare, dopo l’attivazione necessaria a superare ostacoli ed
eventi importanti, ad uno stato di allentamento, di tranquillità, di rilassamento.

Perché lo stress diventa cronico

Ciò che determina lo stress cronico è l’impatto complessivo che l’evento stressante
ha sulla persona. La domanda che possiamo farci è: perché alcune persone riescono
ad affrontare brillantemente i problemi e le difficoltà, anche le più ardue, mentre altre
subiscono gli eventi e soccombono ad ogni minimo ostacolo che si presenta sulla loro
strada? A questa domanda rispondiamo dicendo che ciò che fa la differenza è il modo
attraverso cui l’individuo attraversa l’evento stressante. La percezione complessiva di
un evento come gestibile e affrontabile, piuttosto che come drammatico e insuperabile
è ciò che distingue una persona in buona salute da una stressata.
Immaginiamo di possedere un filtro attraverso il quale noi percepiamo
complessivamente gli eventi e più in generale la realtà. Questo filtro ci permette di
cogliere questi in maniera molto diversa, in base al suo buono o cattivo funzionamento.
Se esso è alterato anche la realtà diventa distorta e viene percepita comunque in
maniera negativa se non addirittura drammatica.
Ma cosa significa che il filtro è alterato? In altre parole, ciò che si altera sono le
funzioni psicocorporee: le emozioni negative (paura, rabbia, scontentezza) possono
lasciare poco spazio a quelle positive; la razionalità può svilupparsi troppo al
fine di controllare continuamente l’esterno; può ridursi drasticamente la capacità
immaginativa di progettare e organizzare il movimento verso il futuro; La respirazione
può diventare affannosa o molto trattenuta nel torace, impedendo alla persona di
rilassarsi e recuperare energie.
Queste e altre possibili alterazioni, incidono tutte insieme sulla percezione globale
della persona che si trova di fronte ad un problema da superare e fanno sì che anche un
evento del tutto normale o banale si trasformi, agli occhi della stessa, in una situazione
allarmante e molto preoccupante (stress cronico). Una volta che il filtro si è alterato
e dunque la condizione di stress si è cronicizzata, la persona non è più in grado da
sola di preservare e migliorare il suo stato di salute e ciò le impedirà di condurre una
vita piena, serena e soddisfacente. Inoltre come vedremo, questo stato di alterazione
psicofisica la predispone ad andare incontro al rischio di manifestare col tempo disturbi
e malattie di vario genere e grado.

Disturbi specifici dello stress

Una volta cronicizzato, lo stress diventa altamente dannoso, poiché costringe
l’organismo in una situazione di costante tensione e allarme anche quando non sarebbe
necessario, pregiudicandone energie e salute. E’ oramai un dato acquisito che lo stress
produce modificazioni a carico di tutti gli organi, attraverso la mediazione del sistema
nervoso vegetativo, del sistema endocrino e del sistema immunitario, attraverso una
complessa serie di meccanismi di regolazione.
I sintomi più comuni legati allo stress sono elencati nella tabella seguente:

Intervenire sullo stress cronico

Data la complessità del fenomeno, affinché si possa davvero curare lo stress cronico risulta ormai chiara la necessità di un intervento multidimensionale,
attraverso cui è possibile andare a intervenire sui funzionamenti di fondo della persona,
nei quali va a depositarsi. Ciò che si vuole ottenere non è semplicemente un
rilassamento temporaneo (raggiungibile con tecniche di rilassamento classiche), ma
una profonda modificazione dei meccanismi radicati dello stress. Per ripristinare l’
equilibrio nel funzionamento di base della persona è fondamentale agire sui regolatori
generali dell’organismo e cioè sulla respirazione, la tensione muscolare, le posture,
la memoria corporea, il sistema propriocettivo, senza tralasciare nessuno di questi
elementi.
Le tecniche utilizzate per curare lo stress cronico saranno dunque di diverso tipo e spazieranno da quelle per il
ripristino della respirazione diaframmatica (l’unica in grado di generare condizioni
di calma e benessere), a quelle di massaggio profondo (per sciogliere contrazioni e
tensioni croniche e per aumentare la percezione di zone bloccate o divenute poco
sensibili), a specifiche sequenze di movimenti (per recuperare apertura, morbidezza,
fluidità, calma).

Che cos’è la Psicologia Psicocorporea

Parlando di psicologia… psico corporea

La psicologia psico corporea è un tipo di psicologia che lavora in maniera integrata
su aspetti cognitivi, emozionali e corporei, al fine di favorire un benessere globale
della persona.

Il presupposto di base dell’approccio psico corporeo è che ogni individuo è un’unità
mente-corpo inscindibile; gli stati psicologici riflettono e producono quanto
accade a livello fisico e ciò che si riscontra a livello somatico riflette e determina
gli stati mentali ed emozionali. Nella storia della psicologia, in effetti, non è mai
stato documentato un solo caso clinico in cui potessero essere rilevati disturbi
esclusivamente mentali o esclusivamente corporei: da ciò se ne deduce che è la
persona nella sua unità ad esprimere il malessere e il disagio e non parte di essa.

Una persona ansiosa ad esempio manifesterà al contempo alterazioni su tutti i
diversi piani funzionali: sul piano cognitivo potrà avere dei pensieri negativi e una
costante preoccupazione del futuro; sul piano emotivo potrà manifestare una
difficoltà a lasciarsi andare e quindi un eccesso di controllo sulle reazioni fisiche
ed emotive; sul piano fisiologico una difficoltà a respirare in maniera rilassata e
profonda. La respirazione, caratteristica della persona che presenta un disturbo di
tipo ansioso, in effetti, è piuttosto superficiale e bloccata a livello toracico (la tipica
respirazione associata alla paura) e questo è uno di quegli elementi che contribuisce
in maniera determinante al mantenimento del problema. Attraverso un meccanismo
cosiddetto di retroazione, infatti, le tensioni a livello corporeo (fra le quali in primis
le tensioni del diaframma e cioè del muscolo principale della respirazione) mettono
la persona in uno stato generale di allerta. Le tensioni corporee vengono infatti
tradotte a livello cognitivo sottoforma di pensieri negativi ricorrenti, oppure come
senso di allarme e di preoccupazione continua, oppure ancora come mancanza di
fiducia o senso di inadeguatezza.

Questo semplice esempio ci può essere utile per capire quanto e come mente
e corpo siano intercomunicanti e interdipendenti, tanto che non è neanche
propriamente corretto parlare di queste due entità in maniera separata.

Affinchè la persona possa ritrovare il benessere psicofisico non è sufficiente,

secondo un punto di vista siffatto, cercare semplicemente di eliminare i sintomi
del disagio ( che comunque tenderanno a ripresentarsi o a riaffiorare in forma
differente se non si risolve il problema alla base). Ciò che è necessario fare, invece, è
prima di tutto recuperare un buon contatto con sé stessi, che equivale a riscoprire la
possibilità di sentire ed esprimere pienamente quelle emozioni rimaste più o meno a
lungo trattenute dentro di noi.

Perché è così importante che la persona recuperi un buon contatto con le
proprie emozioni e che ritrovi di nuovo la possibilità di esprimerle pienamente?

Ansi tutto c’è da dire che le emozioni rappresentano la parte più delicata e anche la
più preziosa della nostra personalità, ci dicono chi siamo veramente, ci fanno sentire
vivi e ci indirizzano nelle importanti scelte della vita.

Le emozioni (come la paura, la rabbia, la tristezza, ma anche la gioia) però non
sempre vengono espresse liberamente. I motivi per cui questo accade possono
essere molteplici, ma quando esse vengono negate o trattenute a lungo,
determinano comunque stati di tensione nel corpo. Queste tensioni nell’ottica
psico corporea rappresentano quindi delle fondamentali strategie difensive
attraverso le quali l’individuo si protegge dal sentire e dall’esprimere certe emozioni
percepite come“pericolose” o incongrue rispetto all’immagine che egli ha di sé. Tale
condizione di blocco e di inibizione emozionale se continuata nel tempo può portare
a disturbi psicologici fra cui l’ansia, il panico e la depressione, o a disturbi cosiddetti
psicosomatici (dolori muscolari cronici, cefalee, gastriti, coliti, disturbi respiratori,
etc.).

Un approccio psico corporeo si propone quindi di promuovere l’integrazione
consapevole di mente e corpo, focalizzandosi tanto sugli aspetti psichici che sulle
loro manifestazioni corporee. Attraverso l’utilizzo sinergico di diverse tecniche
sia verbali , che non verbali, scelte accuratamente in relazione alla personalità
e al tipo di disturbo presentato, l’individuo viene guidato verso la realizzazione
di una maggiore comprensione e consapevolezza di sé stesso e dei propri
meccanismi disfunzionali, e facilitato nell’innescare e nel portare a termine il proprio
cambiamento, sempre e comunque nel rispetto dei suoi tempi e delle sue modalità.

Articolo scritto dal dott. Fabio Pratesi, psicologo – Cecina (LI)