Quali sono i disturbi psicosomatici?

La psicosomatica è  quella branca della medicina che studia le interrelazioni tra psiche e soma, occupandosi nello specifico di rilevare e capire l’influenza che le emozioni esercitano sul corpo.

In medicina, infatti, è ormai largamente condivisa l’idea che il benessere a livello fisico abbia una sua chiara influenza sulla psiche e sull’aspetto emotivo della persona; a loro volta, emozioni e sentimenti agiscono sul corpo modificandolo a vari livelli, dal micro (cambia la chimica cellulare) al macro (cambia ad esempio il modo di respirare e la postura).

Ad una visione del disturbo di tipo causale si sta sempre più sostituendo quella multifattoriale e olistica. Come affermava già diversi anni fa Alexander Lowen, il padre della Bioenergetica, mente e corpo si influenzano reciprocamente e anche se apparentemente separati essi sono in profondità (inconscio) funzionalmente identici, perché affondano le loro radici nei processi energetici di base. Partendo da questo presupposto, si potrebbe dunque dire che ogni disturbo, avendo in sé aspetti sia psichici che corporei è psicosomatico.

Secondo la classificazione più tradizionale però, ad oggi, vengono definiti disturbi psicosomatici quei disturbi sofferti o quelle malattie riscontrati a livello fisico, che una serie di studi hanno dimostrato essere conseguenti ad una condizione emotiva stressante.

Spesso la persona che soffre di un disturbo psicosomatico si reca dal medico per un problema fisico, ma in seguito ai controlli specialistici suggeriti dallo stesso non viene riscontrata alcuna corrispondenza organica al disagio; oppure  viene sì riscontrata ma, nonostante le cure farmacologiche il disturbo permane o si ripresenta puntualmente a brevi distanze di tempo.

Quest’ultima possibilità è legata al fatto che lo stress emotivo genera una cattiva reazione del sistema immunitario, che a sua volta ha difficoltà a combattere gli agenti patogeni che aggrediscono l’organismo; ciò a lungo andare può portare un acutizzazione dei sintomi e una resistenza ai farmaci, che non riescono ad agire per un mal funzionamento appunto del sistema immunitario.

Detto ciò, quali sono i disturbi psicosomatici evidenziati più frequentemente? Eccoli elencati qui di seguito:

 

  • Disturbi dell’apparato gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, gastrite, colite, colon irritabile, ulcera);
  • Disturbi dell’apparato cardiocircolatorio (aritmia, tachicardia, angina pectoris, ipertensione);
  • Disturbi dell’apparato urogenitale (irregolarità o dolori mestruali, disfunzioni dell’erezione e/o dell’eiaculazione, anorgasmia, enuresi);
  • Disturbi dell’apparato muscolare (cefalea, torcicollo, crampi, mialgia, artrite);
  • Disturbi della pelle (acne, dermatite, psoriasi, orticaria, prurito, secchezza cutanea, sudorazione eccessiva);
  • Disturbi pseudo-neurologici (alterazione della coordinazione e/o dell’equilibrio, ipostenie localizzate o paralisi, difficoltà a deglutire, amnesie);
  • Disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia).

Di cosa mi occupo e come lavoro..

Psicologo iscritto all’Albo degli Psicologi della Toscana n. 5101. Mi occupo principalmente di ansia, panico, fobie, depressione, disturbi psicosomatici da stress, disturbi del sonno, problemi di coppia.

Ricevo su appuntamento a Cecina (Livorno):

  • presso il mio studio privato sito in via Sin le Noble n.11
  • presso la Farmacia Centrale in via Pasubio n. 33 H

il mio modo di lavorare:

Il modello di diagnosi/intervento a cui faccio riferimento è quello Integrato . Tale modello si caratterizza per lo sguardo d’insieme che riserva alla persona. L’individuo non è considerato esclusivamente sul piano mentale, come avviene nella maggior parte degli approcci psicologici tradizionali, bensì nel complesso insieme di tutte le sue funzioni psico-corporee. Il benessere, così come il disagio, sono esperienze che viviamo nella mente e nel corpo contemporaneamente. Pensiamo, ad esempio, come una condizione d’ansia può essere vissuta in modo complesso e totalizzante: ci sono pensieri , idee, ricordi e convinzioni che sul piano mentale condizionano negativamente il modo di interpretare le situazioni e la realtà. Ci sono emozioni che arrivano con violenza, paralizzando o costringendo all’evitamento: pensiamo in primis alla paura. Ci sono allo stesso tempo, dei fastidiosi sintomi fisici: tachicardie, tensioni muscolari, tremori, disturbi digestivi, senso di fame d’aria, vertigini sono solo alcuni esempi.
Le tecniche utilizzate sono studiate per intervenire in modo integrato su tutti gli aspetti della condizione di disagio e di stress, sia sul versante psico/emotivo che su quello corporeo.

Le principali aree di intervento sono:

  • Disturbi d’ansia (ansia generalizzata e fobie specifiche)
  • Disturbo da attacchi di panico
  • Depressione e disturbi dell’umore
  • Disturbi da stress e psicosomatici (Asma e disturbi respiratori, aritmie e oppressioni toraciche, disturbi della pelle, dolori muscolari cronici, gastriti, coliti, stipsi, cefalee)
  • Insonnia e disturbi del sonno
  • Disturbi alimentari (bulimia e anoressia)
  • Disturbi sessuali
  • Problemi di coppia e della famiglia
  • Problematiche psicologiche e psicosomatiche del bambino
  • Problemi dei ragazzi in adolescenza

Se desideri avere maggiori informazioni o per qualsiasi domanda puoi scrivere sulla mia casella di posta elettronica : info@fabiopratesi.it

Se invece hai piacere di avere un primo colloquio psicologico allo scopo di analizzare più precisamente un problema puoi contattarmi telefonicamente al numero: 347.1419026

Mal di testa: risolvere il problema senza farmaci

Emicranie e cefalee sono disturbi che possono diventare molto invalidanti, soprattutto quando anche gli antidolorifici non sorbiscono più l’effetto desiderato.

Dagli studi condotti in medicina psicosomatica risulta evidente che coloro che soffrono di mal di testa ricorrenti sono individui caratterizzati da un tipico funzionamento psicologico:

  • Sono individui che privilegiano in maniera marcata un approccio mentale alla vita; affidandosi quasi esclusivamente al pensiero e alla razionalità piuttosto che all’istinto e alle emozioni. La funzione della razionalità è dunque ipertrofica, cioè eccessivamente sviluppata rispetto a quella dell’emotività che viene invece tenuta blindata e sotto controllo.
  • Sono Individui che dunque hanno difficoltà a lasciarsi andare, che si controllano per paura di eccedere, eccessivamente critici verso sè stessi.
  •  In buona parte dei casi sono persone che tendono a reprimere la rabbia. Ciò non significa che chi soffre di mal di testa (cefalea o emicrania) necessariamente non senta la rabbia, ma che tenda a covarla tutta nella testa sotto forma di pensieri aggressivi dei quali può anche arrivare a non essere cosciente. Questa emozione trattenuta, vissuta dentro e mai espressa apertamente, si trasforma in irritazione e risentimento che contaminano ogni pensiero.
  • Dal punto di vista corporeo si evidenziano blocchi e tensioni muscolari croniche collocate soprattutto a livello del collo, le quali impediscono di lasciare andare la testa (paura di perdere la testa = paura di perdere il controllo delle emozioni); del diaframma, per cui la respirazione risulta controllata e limitata; della mascella  e delle scapole, manifestazione corporea legata alla tendenza a trattenere la rabbia.

 

Il black out del pensiero

Il nostro organismo è in grado di attivare autonomamente una vasta gamma di meccanismi omeostatici (di riequilibrio) che intervergono qual’ora vi sia un eccessivo sbilanciamento neurovegetativo. Anche il mal di testa, benchè possa sembrare alquanto strano, ha le sue funzioni, e una di queste è quella di interrompere per un certo tempo l’eccessiva attività razionale e di pensiero nella quale la persona si trova coinvolta, costringendola a bloccare il continuo rimuginio mentale. Inoltre il black out del pensiero generato da una forte cefalea o da una forte emicrania, può impedire l’emergere alla coscienza di contenuti emotivi disturbanti che la persona, in quel momento, non è disposta ad accogliere.

 

L’approccio Psicocorporeo contro il mal di testa

Come è possibile curare il mal di testa e soprattutto farlo senza l’uso di farmaci? Anche se molte persone non sono al corrente di questo, è importante sapere che oggi esistono alcune tecniche psicocorporee  particolarmente efficaci per ridurre drasticamente questo disturbo. La Bioenergetica può essere di grande aiuto sia per lo scioglimento di specifici blocchi psicofisici, sia per favorire l’integrazione tra la parte emotiva e quella razionale. Un’ altra ottima possibilità è quella offerta dall’ipnosi e dall’ ipnosi non verbale, tecniche che permettono di aggirare le resistenze inconsce della persona e agire in maniera mirata su specifiche alterazioni del funzionamento mente corpo.

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Quando rivolgersi ad uno psicologo?

“Ogni viaggio inizia con un piccolo passo”

Lao Tsu

 

Prendere la decisione di farsi aiutare da uno psicologo può non essere semplice. In alcuni casi si rifiuta la possibilità di rivolgersi ad uno specialista perché il farlo apparirebbe agli occhi della persona come un atto di debolezza inaccettabile, oppure il rifiuto può derivare dalla credenza infondata che andare dallo psicologo significhi essere “pazzi”, oppure ancora che affidarsi ad uno psicologo porti a non riuscire più a fare a meno del suo sostegno.  In realtà:

1)      Paradossalmente, spesso, è proprio l’incapacità a chiedere aiuto e ad appoggiarsi in un momento di reale bisogno che porta a sentirsi sempre più deboli e insicuri.

2)      Ognuno di noi nella vita (e non serve essere pazzi per questo) può incorrere in periodi più o meno lunghi di particolare disagio, tristezza, stanchezza, rabbia, ansia e, ad un certo punto, sentire il bisogno di ristabilire un equilibrio e un benessere che abbiamo necessità di recuperare, ma che da soli facciamo fatica a trovare.

3)       La relazione psicologo-paziente è una relazione di fiducia e di scambio e uno degli obiettivi imprescindibili di ogni percorso psicologico è proprio quello di favorire l’autonomia e l’autorealizzazione della persona.

Detto ciò, in quali casi  è dunque consigliato rivolgersi ad uno psicologo?

  • Quando ci sentiamo bloccati e incapaci di avere il controllo di noi stessi.
  • Quando quotidianamente abbiamo un “appuntamento” con il nostro malessere.
  • Quando, nonostante svariati tentativi fatti in maniera autonoma per risolvere il problema/disagio, non si ottengono miglioramenti convincenti.
  • Quando ci sentiamo costantemente stanchi o stressati.
  • Quando in seguito ad un cambiamento o  evento importante (lavoro, casa, nascita di un figlio, matrimonio, divorzio, malattia,  perdita di una persona cara, etc.) ci sentiamo destabilizzati e incapaci di comprendere o gestire certe emozioni.
  • Quando vogliamo rimodellare alcuni aspetti del nostro carattere che non tolleriamo, o che ci siamo accorti interferire negativamente nelle relazioni.
  • Quando non riusciamo ad instaurare delle relazioni  sufficientemente stabili e/o significative con altre persone.
  • Quando ci sentiamo freddi, distaccati, e non riusciamo più ad esprimere alcune emozioni.
  • Quando, dopo svariate visite mediche a causa di un malessere fisico, non viene evidenziato nessun disturbo organico.
  • Quando ci autosabotiamo trovando sempre una buona scusa (“ora non è il momento giusto”, “ho cose più importanti di cui occuparmi”, “con il mio problema c’è poco da fare” etc.)  per evitare di fare il primo passo.

 

Lo psicologo è in primis un essere umano, una persona che si è formata maturando, attraverso specifici percorsi personali, la capacità di entrare in contatto con il disagio e la sofferenza. Lo psicologo che utilizza un approccio integrato accompagna il paziente attraverso un percorso “su misura” fatto di esperienze correttive che coinvolgono l’intero sistema persona (mente-corpo-emozioni), e permettono il recupero o lo sviluppo di una condizione di benessere concreta e globale.

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10 modi per combattere lo stress

Il modo di vivere di oggi, caratterizzato da ritmi eccessivamente elevati e carichi non indifferenti di responsabilità ed aspettative, tende a logorarci a livello psicofisico e a favorire l’insorgere di disturbi da stress. Possiamo allora chiederci, come fare per combattere lo stress? In seguito vi propongo alcuni modi per allentare lo stato di tensione psicologica e favorire il benessere mente corpo.

  1. Sport e movimento

L’attività fisica svolta in maniera regolare e non eccessiva risulta essere una buona via per allentare lo stress. Le attività motorie più consigliate sono quelle aerobiche come il nuoto, la corsa, il ciclismo, il canottaggio, lo sci, ma anche il ballo e la camminata veloce.

  1. Rilassamento muscolare

Lo stress comporta un’ alterazione di una serie di funzioni del nostro organismo, tra le quali la tensione muscolare. Propongo dunque un esercizio molto semplice e veramente poco impegnativo per rilassare i muscoli del collo, della schiena e delle spalle, punti dove solitamente si concentra di più lo stress. Per eseguire l’esercizio è sufficiente da posizione seduta con le piante dei piedi ben appoggiate, allungare le braccia fino a terra e respirare con la bocca lasciando la testa abbandonata. Basta svolgere questo esercizio ogni giorno per 1-2 minuti per apprezzarne i risultati.

 

  1. Respirazione e consapevolezza

Concedersi 5 minuti al giorno per concentrare l’attenzione sul respiro è un ottimo modo per allentare lo stress. Ad esempio possiamo metterci comodamente seduti, chiudere gli occhi, lasciare spalle e bocca morbide e, respirando, osservare semplicemente l’onda del respiro che si muove all’interno del corpo. Se durante l’esercizio l’attenzione si dovesse spostare su altro, prendiamone semplicemente atto e riportiamola sulla respirazione.

 

  1. Investire bene l’energia

Tra le cose più inutili e logoranti che possiamo fare vi è senza dubbio il perdere tempo ed energie nel preoccuparci di cose che sono fuori dal nostro controllo o, ancora, il cercare di fare più cose contemporaneamente. È buona e sana abitudine, invece, investire in ciò che è effettivamente controllabile e modificabile e, soprattutto, fare una cosa per volta! In questo modo guadagneremo tempo e salute.

 

  1. Ammorbidire le convinzioni

Ci riconosciamo in coloro che pensano di dover fare tutto alla perfezione e di non dover mai sbagliare?

Proviamo allora a falsificare volontariamente questa nostra convinzione chiedendoci: ma è proprio necessario che mi imponga di dover sempre puntare alla perfezione? Cosa potrebbe mai accadere di così catastrofico se non lo facessi?

 

  1. Imparare a dire di no

Per non accumulare stress è fondamentale saper rispondere con un “No!” a quelle richieste che faremmo fatica a soddisfare per mancanza di tempo o di energie. Impariamo a scrollarci di dosso i pesi in eccesso e a delegare ad altri alcune responsabilità che non necessariamente abbiamo il dovere di prenderci sempre noi. Prendiamoci invece cura della nostra persona, rispettando i nostri limiti e ricordandoci che ogni individuo ha bisogno di momenti di tranquillità e di calma.

 

  1. Alimentazione corretta

Una corretta alimentazione ci aiuta nel mantenimento di uno stato di salute e di benessere psicofisico, rendendoci più forti quando abbiamo bisogno di fronteggiare situazioni stressanti.

 

  1. Correggere la postura

Essere consapevoli della postura che assumiamo e imparare a correggerla può sembrare una cosa banale e poco utile in relazione allo stress, invece non è così. Recenti ricerche hanno infatti dimostrato ancor più chiaramente che la postura incide direttamente, e in maniera determinante, sulla qualità dell’umore e sulla condizione di stress.

 

  1. Sì alla regolarità

Consideriamo il fatto che ogni cambiamento è stress. Cerchiamo dunque di condurre una vita abbastanza regolare se vogliamo combattere lo stress.

 

  1. Rivolgersi ad uno psicologo esperto in tecniche antistress

Se accusate buona parte dei sintomi legati allo stress e non riuscite più a concedervi momenti di calma e di rilassamento allora è il caso che vi rivolgiate ad un esperto che vi aiuti a ritrovare una condizione di equilibrio e di benessere. È importante ricordare infatti che lo stress è alla base dell’insorgenza di una serie di disturbi sia psichici che fisici anche gravi e quindi non va assolutamente preso sottogamba.

 

Se vi interessa l’argomento “stress” potreste trovare utile la lettura di quest’ altro articolo:

Come curare lo stress cronico

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Il potere del corpo e l’intelligenza corporea

Chi non ha ricevuto il classico rimprovero della mamma a tavola: “tieni dritta quella schiena!”; una scocciatura quando sei bambino, ma un importante segnale interpersonale quando cresci; specie se vuoi far carriera in un’azienda o ti presenti ad un colloquio di lavoro.

Una recente ricerca infatti dimostra che mantenere unapostura eretta può aiutare a dare una buona immagine di noi e soprattutto a primeggiare in mbito professionale.

Tutti sanno che la nota posizione eretta da l’idea di una persona forte e sicura di sé, ma non solo: come suggerisce una recente indagine, esibire una postura di questo tipo infonde un carica che rende, specie nel mondo del lavoro, più competitivi, intraprendenti e carrieristi; ben di più di quanto facciano titoli di studio, competenze ed efficienza.

Ne hanno dato prova Li Huang e Adam Galinsky, psicologi alla Northwestern University in Illinois, America.
I due studiosi hanno voluto verificare se, e in che misura, l’assunzione di questa postura influenzi la stima di sé a confronto con altre e più convenzionali forme per “gasarsi”.

Per accertarlo hanno coinvolto 77 studenti: il primo passo è stato fargli compilare un questionario per valutare la loro attitudine al “comando”.
A metà dei partecipanti é stato riferito che, in base al test, erano stati classificati come manager per il proseguio dell’esperimento; all’altra metà, invece, era stato detto che erano rientrati nei gregari.

Mentre i volontari erano in attesa di questi esiti, è stato chiesto loro di compilare un test sul marketing per stabilire con maggiore precisione la classe di appartenenza.
Durante questa seconda “prova” i volontari venivano invitare a sedere su una sedia “ergonomica”: il tempo dedicato a questo ulteriore test variava tra i tre e i cinque minuti.

La “sedia ergonomica” in effetti era un pretesto per far loro assumere una posizione scomoda oppure rilassata: alcuni di loro, infatti, erano stati fatti accomodare su una una poltroncina piuttosto stetta, che li costringeva a stare raccolti: le mani sotto le cosce, le estremità inferiori con le caviglie pressate l’una all’altra e le spalle ingobbite.
L’altra metà dei volontari, per contro, era adagiata su una poltrona che consentiva loro di tenere le gambe larghe, i piedi scostati e le mani comodamente appoggiate su dei braccioli rivolti all’esterno.

Alla fine dei due test, i partecipanti erano stati inseriti definitivamente ad una categoria o all’altra: in realtà. il risultato dei questionari non era stato minimamente tenuto in considerazione e gli studenti erano stati assegnati a caso ad un gruppo o all’altro.

A questo punto dell’indagine, i ricercatori misuravano implicitamente il senso di potere: si trattava di completare delle parole in cui erano state omesse lettere o sillabe (come ad esempio, “com…….ne”, che poteva far pensare acomposizione competizione).
– deviazione, con i primi termini che venivano loro in mente; sette di queste espressioni avevano a che fare con il concetto i potere; per ognuno di questi frammenti di parole che veniva completato in modo da avere un significato legato al potere (potere, diretto, condurre, autorità, controllo, comando ricco) i partecipanti ricevano un punto.

Alla resa dei conti, Huang e Galinsky hanno accertato che ciò che faceva la differenza nella scelta delle “parole di potere” era la posizione dovuta alla sedia (disagevole o comoda e aperta): chi era rimasto seduto in modo confortevole mostrava un’inclinazione alla leadership di circa 3 punti e mezzo, contro un punteggio medio di 2,78 di coloro che erano stati “stritolati”.

in conclusione, lo strepitoso esito di questo esperimento dimostra che il linguaggio del corpo (nel caso specifico, una postura) può influenzare atteggiamenti, motivazione e carica emotiva.

Al di là del risultato dello studio, questa scoperta apre un nuova prospettiva nell’impiego della comunicazione non verbale: non serve solo a capire quello che uno prova o pensa, ma addirittura può essere usata per potenziare o, perfino cambiare, attitudini, modi di pensare o di agire; possiamo ora affermare che le funzioni emotive e intellettuali non risiedono solo nella mente o nel cervello e dimostrare l’esistenza di un vera e propria Intelligenza Corporea®!

Ipnotizzare con il corpo

Una nuova tecnica che fa uso di segnali non verbali si é mostrata più efficace, rapida e potente delle altri procedimenti induttivi … con grandi vantaggi sul piano dell’appicazione pratica

Capita che mentre parliamo con qualcuno, possiamo accorgerci che non ci sta affatto seguendo; il suo sguardo è vuoto, perso, lontano; il suo volto inespressivo, privo di tono; le sue mani o gli avambracci possono trovarsi a mezz’aria come fosse in procinto di dire qualcosa, ma rimangono immobili dando l’impressione di essere sospesi ad un filo. Immediatamente lo richiamiamo. Pensiamo: ha la testa fra le nuvole, è distratto; è pensieroso.
Ma ciò che accade veramente in quei momenti è altro: si chiama ipnosi!
E’ proprio constatando che i fenomeni ipnotici si presentano nelle comuni interazioni umane che gli studiosi di questa disciplina hanno appeso al chiodo pendolini, “guardami, guardami, guardami” e metronomi per investigare e trovare il modo di riprodurre quanto avviene già naturalmente.
Fatti non parole! L’indagine condotta con una sistematica e accurata osservazione e valutazione di queste occorrenze ha messo in luce che a suscitare questa condizione sono solo in alcune occasioni delle parole; il più delle volte, si tratta di segnali non verbali: suoni, toni di voce, certe scene, contatti fisici.
Gli stimoli hanno la caratteristica di essere inattesi, evocativi, emotivamente coinvolgenti.
Il corpo rivela La presenza di ipnosi è segnalata da cambiamenti nelle fisiologia osservabile dell’individuo; spesso le reazioni sono spesso sottili: dilatazione delle pupille, fissità dello sguardo, schiudersi della bocca, lieve dondolio del corpo, riduzione del tono muscolare ed altri ancora.
Minuti contati: La durata delle trance varia in genere da qualche secondo a parecchi minuti e si produce centinaia di volte al giorno.
L’ipnosi è un’esperienza quotidiana Queste scoperte hanno dimostrato che chiunque è stato ipnotizzato innumerevoli volte nella sua vita e che ognuno di noi, una volta, identificate le sue personali, uniche e irripetibili chiavi d’accesso all’ipnosi, è ipnotizzabile.
Ma il limite è stato subito evidente: la profondità di queste trance spontanee e la loro durata si sono rivelate troppo ristrette per un appli- cazione terapeutica.
Come potenziare l’effetto degli stimoli ipnotici Dopo il primo scorcerto, gli scienziati hanno ideato due possibili soluzioni:
i abbassare la soglia della sensibilità del soggetto agli stimoli (e aumentare quindi la sua recettività)
i aumentare la “forza” d’impatto delle sollecitazioni.
Gli “artifici” per il potenziamento dell’ipnosi: Una selezione delle tecniche più efficaci nella modificazione del comportamento, ha portato alla selezione di due modelli:
il’Ipnosi Dinamica, il primo procedimento ipnotico basato sul linguaggio del corpo, elaborato Stefano Benemeglio
iIl procedimento del ricalco-guida, ideato dalla Programmazione Neuro-Linguistica.
Due parole di spiegazione: L’Ipnosi Dinamica attraverso la gestione di toccamenti, rumori, variazioni della distanza interpersonale e con artifici per disorientare, “mettere sottosopra” e confondere la percezione, si innalza il tono emotivo del soggetto ipnotico, rendendolo estremamente permeabile alle suggestioni e ad ogni più piccola variazione del comportamento dell’operatore.
Un’altra tecnica per rendere più efficace e pilotare le reazioni degli individui con cui si interagisce é il Ricalco-Guida; consiste innanzitutto nel rispecchiare posture, gesti, timbro e quant’altro del modo di porsi dell’altro.
Il ricalco può essere fedele (ad esempio, si può assumere la stessa posizione dell’interlocutore), parziale (ci si può toccare il mento, quando chi ci sta di fronte lo liscia tra le dita) o incrociato (si può dare un colpetto al tavolo ogni volta che l’altro mostra un aumento dell’attenzione). Dopo un certo numero di ripetizioni, nella mente del soggetto si stabilisce un’associazione stabile tra il nostro e il suo comportamento, per cui una nostra variante sarà seguita da una sua analoga replica – guida -.
I passi dell’induzione ipnotica:Il metodo descritto deve molto alle impostazioni originali dell’Ipnosi Dinamica cui, oltre all’integrazione del modello ricalco-guida, sono state apportate delle rettifiche che ne hanno reso più snella e rapida l’applicazione.
L’individuo viene messo in piedi in mezzo ad una stanza; gli viene chiesto di tenere una postura eretta, ma non tesa; di non fare movimenti volontari e involontari, di non parlare, di non aprire gli occhi una volta che si siano chiusi: tutto questo ha tre obiettivi:
– “scoraggiare” l’individuo dal fare azioni che allentino la
tensione emotiva
;
ridurre la percezione dell’ambiente esterno;
agevolare lo spazio di manovra dell’operatore.
La stimolazione dei sensi l’operatore fa la richiesta di osservare i gesti che eseguirà all’altezza degli occhi (aprire e chiudere le dita, fare movimenti circolari, far scorrere la mano avanti e indietro; ecc.).
Non appena viene scorto il più piccolo cenno di alterazione della coscienza in coincidenza con uno specifico segnale; si procede ad un “aggiustamento del tiro” (il movimento è fatto più veloce o più lento; più vicino o lontano, da destra oppure da sinistra, ecc.) per individuare la forma che meglio si attaglia al soggetto.
Individuato il “grimaldello” giusto, lo si ripete, attenti a adattarlo ad ogni minimo cambiamento nella risposta.
Ripetizione e adeguamento portano ad una intensificazione della reazione, riflesso di una più pronunciata modificazione dello stato di coscienza.
Se la stimolazione visiva si mostra poco efficace, si può passare a quella sonora (si producono vocalizzi o rumori) o quella tattile (si può toccare l’individuo sulla fronte, appoggiarsi ad esso, poggiargli una mano sulla spalla o sul petto). Il protocollo che segue è lo stesso che per la modalità visiva (si cerca il “profilo” adatto per tono, volume, ritmo e velocità dei suoni o il punto e il modo “corretto” del contatto). Accentuare la recettività.
In quel momento, si può elevare la responsività dell’ipnotizzato:
– gli si gira attorno, parlando (in genere dicendo frasi vuote o facendo banali descrizioni di ciò che si sta facendo) per far si che il soggetto individui un riferimento preciso; poi, si cambia direzione all’improvviso.
– ci si mette di fronte al soggetto e, nel parlare, si dirige la voce verso l’orecchio destro o quello sinistro oppure in alto o verso il basso;
– si parla a voce bassa e con tono calmo e soffice; quindi, si da un forte battito di mani. · si sposta la testa del soggetto verso dietro (la sua percezione dell’equilibrio viene fisiologicamente alterata)
– si fanno suoni acuti, aspirati; si fanno cadere oggetti alle sue spalle; si scuote un portapenne con moto ascendente e discendente o da destra a sinistra; ecc.
A quel punto, la reazione tipica è la caduta; cioè, la perdita dell’equilibrio.
Si pone quindi l’individuo su una poltrona o su un divano e si formulano delle suggestioni, questa volta verbali. Anche quelle sono calibrate in base alle alterazioni emotive e di coscienza che suscitano (gli studi più recenti si stanno muovendo nel senso di scoprire come ottenere, con lo stesso metodo, le suggestioni articolate con la parola).
Potremmo dire che procedere con il consueti metodi di induzione ipnotica è come provare a guidare una macchina senza aver fatto prima il pieno; se c’è benzina, l’auto (individuo altamente ipnotizzabile) va avanti lo stesso; se è “a secco” (persona refrattaria), il veicolo non va in moto. Chi applica l’ipnosi non verbale, prima di “mettersi la voltante” – dare le suggestioni – riempie sempre il serbatoio!

I MITI DA SFATARE

iAndare in ipnosi vuol dire dormire o perdere la coscienza:
FALSO: il più delle volte, comporta una condizione che potremmo paragonare al dormiveglia. Questo stato può comportare talvolta una specie di torpore che rende percezione e ricordo annabbiati; ma più comunmente, la trance é una “rilassata” vigilanza.iSe non si viene “risvegliati”, si può non uscire più dallo stato ipnotico: FALSO: in realtà, per quanto la trance sia un esperienza piacevole, se non si ricevono sollecitazioni, dopo un po’ ci si riprende da séiNel corso di una seduta ipnotica, l’individuo diventa un automa nelle mani dell’ipnotista:
FALSO: la persona mantiene sempre un certo grado di autocontrollo e interagisce comunque, anche se a livello passivo e involontario, con l’operatore.iL’ipnotizzatore può far fare quello che vuole all’ipnotizzato: FALSO:durante la trance, si produce una maggiore disinibizione, ma se l’individuo moralmente o per volontà non vuole veramente fare qualcosa non lo fa.iPer ipnotizzare bisogna essere dotati di poteri particolari:
FALSO: l’ipnosi è semplicemente una tecnica; tutti possono apprenderla. Naturalmente, come per ogni attività umana, c’è chi è più portato e chi meno.iL’ipnosi è uno scontro di volontà:
FALSO: chi viene ipnotizzato ha una personalità debole: anche questa è una credenza priva di fondatezza; anzi, chi è maggiormente “suggestionabile” spesso tende a mostrare una maggiore rigidità e un più alto grado di allerta.iL’ipnosi fa dire o fare cose che non si vorrebbero:
VERO/FALSO: stato di ipnosi è una condizione di inerzia psichica e motoria per cui la persona non ha “voglia” di produrre delle azioni spontanee o di pronunciare delle parole
Di solito la persona non parla in ipnosi, se non dopo un lungo e laborioso allenamento: nello stato trance, si attiva una parte del cervello in cui il linguaggio è rudimentale; per altro, corde vocali e gli altri organi fonatori sono rilassati e per l’individuo pronunciare delle parole comporta un grosso sforzo e un impegno arduo.iCon l’ipnosi possono emergere impulsi, pensieri e ricordi che possono far star male:
VERO/FALSO: si tratta di un evento piuttosto raro; più di frequente, l’individuo può avere crisi di pianto, tremori o provare forti emozioni all’inizio dell’induzione, quando il rilassamento favorisce lo scarico di tensioni fino a quel momento trattenute; ma lo stesso può fare una scena di un film o un racconto particolarmente commovente.

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC)

Che cos’è il disturbo ossessivo compulsivo (DOC)

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è uno dei disturbi d’ansia più frequenti ed è generalmente caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni, anche se, in alcuni casi, si possono presentare ossessioni senza compulsioni e viceversa.
Le ossessioni sono pensieri, immagini mentali o impulsi che si manifestano ripetutamente nella mente di una persona e che sono percepiti come sgradevoli ed intrusivi. Questi fenomeni mentali involontari infastidiscono molto le persone che ne soffrono, sia perché sfuggono al loro controllo sia perché provocano delle emozioni negative (es. paura, disgusto, senso di colpa, ecc.), a tal punto che in molti casi si sentono costrette a mettere in atto una serie di comportamenti ripetitivi o di azioni mentali per ridurre lo stato di disagio che li attanaglia (compulsioni). Le ossessioni sono spesso di natura bizzarra e, chi ne soffre è solitamente consapevole della loro infondatezza o esagerazione; tuttavia, in alcuni casi, si può essere così ansiosi da non rendersi neanche conto che si tratta di pensieri che generano preoccupazioni irrazionali o quantomeno eccessive. Il contenuto di questi pensieri, immagini o impulsi può variare; ad esempio, ci sono persone che si preoccupano in modo eccessivo dello sporco e dei germi, altre che sono spaventate dall’idea di perdere il controllo dei propri impulsi aggressivi e fare del male a qualcuno.
Le compulsioni, dette anche rituali o cerimoniali, sono invece dei comportamenti ripetitivi (es. lavarsi le mani, controllare se lo sportello della macchina è stato chiuso, riordinare) o delle azioni mentali (es. contare, pregare, ripetere formule superstiziose), messi in atto per ridurre il senso di disagio e l’ansia provocati dai pensieri ossessivi. A volte il disagio provato è descritto semplicemente come una sgradevole “sensazione che c’è qualcosa che non va” (o “not just right experience”). La compulsione, dunque, riduce l’ansia, produce sollievo e dà un senso di relativa sicurezza, anche se dura poco tempo.
Il disturbo ossessivo-compulsivo colpisce senza distinzioni di età e sesso dal 2% al 3% della popolazione, vale a dire che ogni cento persone che nascono oggi, due o tre svilupperanno nell’arco della propria vita un DOC. Si può supporre che in Italia, in questo momento, soffrano di questa patologia circa 800.000 persone.
Può manifestarsi nell’infanzia, nell’adolescenza o nell’età adulta, in modo acuto, cioè con sintomi evidenti ed improvvisi, o più frequentemente in modo subdolo e graduale.
Come si manifesta il disturbo ossessivo compulsivo

Le ossessioni e compulsioni possono essere di natura molto varia. Si è tentato pertanto di costruire delle sotto-categorie del disturbo ossessivo-compulsivo.
Disturbo ossessivo-compulsivo da contaminazione

Chi ne soffre è tormentato dalla insistente preoccupazione di potersi sporcare o contaminare entrando in contatto con sostanze di vario tipo, quali: escrementi, secrezioni del corpo, sporcizia, sostanze chimiche, siringhe, carne cruda, saponi, solventi, detersivi, ecc.. La contaminazione può essere anche da sporco di natura sociale (es. il tossicodipendente, l’anziano o il barbone) o metafisica (es. il male, il diavolo, le negatività). In molti casi non c’è un vero e proprio timore di malattia, ma un forte disgusto all’idea di entrare in contatto con queste sostanze. La persona, quindi, si sente costretta ad evitare una serie infinita di luoghi: bagni e giardini pubblici, cassonetti dell’immondizia, supermercati, stazioni ferroviarie, ospedali, ecc., tutto ciò al fine di evitare di provare la sensazione di contaminazione. Quando, invece, entra in contatto, o semplicemente pensa di essere entrato in contatto, con una delle sostanze contaminanti mette in atto una serie di rituali di lavaggio, pulizia e sterilizzazione ripetuti e particolareggiati (compulsioni) al fine di attutire la sensazione di contaminazione ed il disagio ad essa connesso. Tali rituali possono durare pochi minuti o arrivare ad occupare molte ore all’interno della giornata.
Disturbo ossessivo-compulsivo da controllo

Si tratta di ossessioni e compulsioni che implicano controlli prolungati allo scopo di prevenire gravi incidenti o catastrofi o di assicurarsi che non siano avvenute. Le persone con questa tipologia di disturbo ossessivo-compulsivo tendono a mettere in atto rituali di controllo per tranquillizzarsi rispetto al dubbio di aver fatto o non aver fatto qualcosa che può aver danneggiato se stesso, i propri oggetti o qualcun’altro o che potrebbe farlo. In questo caso, quindi, il timore che le compulsioni cercano di neutralizzare è il senso di colpa, cioè questi soggetti hanno paura di sentirsi in colpa o per aver commesso qualcosa (colpa da responsabilità) o per non aver fatto il possibile per evitare che accadessero eventi negativi (colpa da omissione). Queste persone attuano così ripetuti controlli per essere sicuri di aver chiuso bene il rubinetto del gas, le porte, le finestre, i fornelli elettrici, l’interruttore della luce, la cassetta della posta, i fari della macchina, di non aver investito involontariamente qualcuno, di non avere tracce di sangue addosso, ecc.. Questo tipo di rituali coinvolge spesso i familiari che sono oggetto di ripetute richieste di rassicurazione o ai quali viene chiesto di fare i controlli al posto della persona stessa.
Disturbo ossessivo-compulsivo di tipo superstizioso

Chi ne soffre pensa che il fatto di compiere o meno determinati gesti, pronunciare certi numeri, compiere certe azioni un certo numero di volte, vedere certi colori o certe cose (es. carri funebri, cimiteri, manifesti mortuari), determini l’esito degli eventi. Questo è il caso di chi, quando sente determinati suoni considerati negativi (es. la sirena dell’autoambulanza) o certe parole pronunciate o scritte (morte, diavolo, satana, ecc.), mentre compie una determinata azione, deve ripeterla un certo numero di volte affinché questo rituale neutralizzi le negatività associate a quel suono o quella parola. Chi presenta questo tipo di ossessioni, dunque, vive degli intensi stati di paura o terrore nei confronti di ciò che potrebbe accadere ed è spesso allarmato dall’idea che possano succedere degli eventi negativi a se stesso o alla propria famiglia.
Disturbo ossessivo-compulsivo da ordine e simmetria

Ci sono delle persone che non tollerano assolutamente che gli oggetti siano posti in modo disordinato o asimmetrico, perché ciò crea in loro la sgradevole sensazione “che c’è qualcosa che non va”. In seguito a questo tipo di ossessioni si possono passare delle ore a fare compulsioni di ordine e simmetria, cioè a riordinare ed allineare secondo una sequenza logica (es. secondo la grandezza o il colore) penne, libri, fogli, pentole, cd, abiti, ecc.. Tali pensieri ossessivi possono riguardare anche la propria persona, come, ad esempio la posizione dell’orologio, il modo in cui sono sistemate maglie e pettinatura dei capelli; ne conseguono rituali di controllo e di messa in ordine allo specchio che possono durare anche ore.
Disturbo ossessivo-compulsivo da accumulo/accaparramento

E’ un tipo di ossessione caratterizzata dall’impulso ad accumulare oggetti insignificanti ed inservibili (riviste, giornali vecchi, bottiglie vuote, confezioni di alimenti, pacchetti di sigarette, ecc.), che provoca delle compulsioni di accumulo e raccolta di questi oggetti; ci sono persone che arrivano persino a raccogliere lattine vuote e pacchetti di sigaretta per strada, o dai bidoni della spazzatura, pensando che un giorno possano servire a qualcosa. A volte, lo spazio occupato da tali “collezioni” diventa tale da sacrificare la vita delle persone e dei suoi familiari. Coloro che presentano questo tipo di DOC si sentono spesso orgogliose delle loro bizzarre “collezioni” e sono spaventate all’idea di buttare via qualcosa.
Ossessioni pure

Ci sono delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo, infine, che presentano solo ossessioni senza compulsioni. Essi sono spaventati da pensieri o spesso immagini relative a scene in cui la persona attua comportamenti indesiderati, privi di senso, sconvenienti o pericolosi. Le ossessioni pure possono essere a contenuto aggressivo, religioso, sociale o sessuale. Tra queste troviamo: il timore di fare del male a se stesso o agli altri (es. ci sono persone che hanno paura di usare un coltello o la forchetta, di maneggiare oggetti appuntiti, di passare vicino alle finestre, di avvelenare il cibo di altre persone, di fare del male ai dei bambini piccoli o di ferire i sentimenti degli altri), la presenza di immagini violente o terrificanti (es. visioni di omicidio, corpi fatti a pezzi), il timore di pronunciare frasi oscene o insulti, bestemmiare, compiere atti sacrileghi o fare cose imbarazzanti e la paura di essere responsabile di eventi terribili come incendi o furti. Le persone che hanno ossessioni di tipo sessuale, invece, presentano il dubbio o il terrore di poter essere perversi, pedofili o omosessuali. Questi pazienti possono passare anche delle ore a rimuginare su questi pensieri, con estenuati messe alla prova e ripetute domande sulla propria natura sessuale.
Come capire se si soffre di disturbo ossessivo-compulsivo

Di solito usiamo il termine ossessione per indicare un pensiero che si presenta con una certa insistenza nella nostra mente; c’è però una differenza tra il significato colloquiale del termine e quello clinico. E’ assolutamente normale, infatti, in certe situazioni, avere per la testa dei pensieri che ci tormentano. E’ naturale essere preoccupati se un nostro parente è ammalato, se dobbiamo fare un esame o se dobbiamo pagare la rata del mutuo. Le ossessioni si differenziano, dunque, dalle normali preoccupazioni per il loro contenuto, queste ultime sono infatti delle paure fondate e legate a problemi reali della vita quotidiana.
La ricerca scientifica ha dimostrato, inoltre, che dei pensieri intrusivi indesiderati irrazionali, assurdi o sproporzionati rispetto alla realtà passano occasionalmente nella testa di ogni persona. Può capitare a tutti, infatti, di provare il timore di perdere il controllo della macchina o la paura di non aver chiuso bene la porta di casa, pur essendo consapevoli della esagerazione di queste preoccupazioni. Fino a qualche anno fa si pensava, invece, che le persone colpite da disturbo ossessivo-compulsivo fossero particolari e bizzarre e che le persone “normali” non avessero questo tipo di pensieri. Le differenze tra i normali pensieri intrusivi indesiderati e le ossessioni patologiche sono, dunque, soltanto di ordine quantitativo e ricorsivo, non di contenuto. Le ossessioni patologiche, infatti, presentano una maggior frequenza, creano reazioni emozionali più intense e maggiore disagio, sono più difficilmente gestibili e durano per tempi più lunghi. E’ necessario pertanto ipotizzare la presenza di un disturbo ossessivo-compulsivo solo quando i sintomi persistono, creano molta ansia e molto disagio o interferiscono pesantemente con la vita di tutti i giorni.
Tra le varie ossessioni possiamo trovare anche la paura di avere contratto una malattia, tale timore tuttavia caratterizza non solo il disturbo ossessivo-compulsivo, ma anche l’ ipocondria. E’ bene ricordare che nel DOC questo pensiero è legato all’idea di contaminazione e la modalità di contagio della malattia è spesso bizzarra. Inoltre chi soffre di ipocondria è convinto o teme già di avere una malattia, per questo attua comportamenti ripetitivi di richiesta di rassicurazione, quali visite mediche, analisi cliniche, ecc., mentre una persona con le ossessioni è più spesso preoccupato di poterla contrarre.
Il DOC, infine, potrebbe essere confuso con il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità. Sebbene abbiano il nome simile e qualche aspetto in comune, come ad esempio una certa rigidità morale ed un eccessivo senso di responsabilità, le due patologie sono marcatamente diverse. Questo ultimo, infatti, è caratterizzato da dei tratti caratteriali ben precisi e le persone che ne soffrono non presentano pensieri intrusivi ricorrenti, né compulsioni di alcun genere. In alcuni casi, tuttavia, possono essere presenti entrambi i disturbi; altre volte, invece, il DOC può essere associato ad altri disturbi di personalità.

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Articolo tratto da www.terzocentro.it

I 10 sintomi della depressione

Come si manifesta la depressione e quali Quando si può davvero parlare di disturbo depressivo? Ho ritenuto importante cercare di fare chiarezza dato che ancora oggi in diversi casi si tende a fare confusione su questo argomento.

Sentirsi un pò stanchi, a volte demotivati, tristi o frustrati è  una condizione normale. A tutti può succedere di avere delle giornate no. Ma l’umore basso, la fiacchezza o la noia non devono necessariamente portarci a pensare di soffrire di depressione. In alcuni casi, come ad esempio in periodi maggiormente stressanti,il nostro umore può subire delle variazioni maggiori e toccare dei picchi sensibilmente più bassi. Perché si possa parlare di vera depressione però è necessario fare un esame più completo del proprio stato d’animo, che miri a individuare la compresenza di almeno cinque di questi dieci sintomi:

– Mancanza o eccesso di energie, sensazione costante di fatica o al contrario di agitazione
– Aumento o diminuzione dell’appetito
e quindi del peso corporeo in modo significativo e del tutto indipendente dalla volontà della persona
– Disturbi del sonno
(ipersonnia, insonnia o frequenti risvegli durante la notte)
– Sensi di colpa
continui e immotivati
– Pensieri di morte o di suicidio
– Tristezza
persistente, ansia e sensazione di vuoto
– Disperazione
, visione totalmente pessimistica della vita
– Perdita d’interesse
o piacere in attività che prima davano soddisfazione, compreso il sesso
– Sensazione di essere “rallentati”
, difficoltà a concentrarsi, a ricordare, a prendere decisioni
– Dolori continui o altri sintomi fisici persistenti, non causati da una malattia fisica o da una lesione.

È importante fare attenzione anche alla ricorrenza e alla durata dei sintomi, che devono manifestarsi per la gran parte della giornata, quasi tutti i giorni, e per almeno due settimane.